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Ambiente Moda etica

Anna Wintour e il vintage

Se la regina di Vogue America prende posizioni in merito ad un uso più etico della Moda, allora possiamo parlare di un vero cambio di marcia. Nella sua intervista a Reuters addirittura si esprime con parole critiche nei confronti delle fashioniste più accanite che vedono nel riutilizzo di capi, dopo la prima uscita, una prassi da condannare, se non fosse che le donne più potenti al mondo, come l’amata Regina Elisabetta o Melania Trump, piuttosto che icone pop come le star di Hollywood, fanno del riciclo un esempio di comportamento che induca il pubblico all’acquisizione di una consapevolezza: su un sistema finito, limitato, come quello del pianeta su cui viviamo è impensabile sfruttare all’infinito risorse per creare ciò che è voluttuario e che ha il solo fine di appagare un desiderio estetico effimero e non un bisogno pratico fondamentale per la sopravvivenza(Cfr. L’App che cambiò il mondo, Amazon). Il discorso fatto da Anna Wintour pone le basi per una riscoperta della qualità di un prodotto, come un capo d’abbigliamento, che vede per la sua realizzazione una serie di competenze applicate da maestranze specializzate che nulla hanno a che vedere con la produzione massiva di abiti scadenti e che si rovinano dopo qualche utilizzo. Possedere un capo di qualità significa apprezzarne il lavoro e la sapienza che c’è alle spalle di quel prodotto, significa avere il privilegio di indossare una piccola opera d’arte che nel tempo si riprende e si indossa sempre con lo stesso piacere perché essa non appaga solo il nostro senso estetico, che è qualcosa di astratto e soggettivo, ma anche i nostri sensi materiali; il tatto di un capo in cachemire è qualcosa dal piacere indescrivibile! Ma questa riscoperta pone l’esigenza dell’acquisizione di una cultura pratica, un tempo appannaggio dei diversi strati sociali, che fanno della vista e del tatto gli strumenti di un esame critico del prodotto che si vuole acquistare e che presuppone la volontà di avere il meglio. Il desiderio di possedere un capo firmato ha focalizzato l’attenzione del consumatore sul solo brand, allo steso tempo la politica commerciale delle grandi industrie della moda si è incentrata sull’ostentazione del marchio ponendo in secondo piano la qualità del prodotto. In un mercato globale che vuole tutto appannaggio di tutti e ad un prezzo concorrenziale si pone quindi il problema di una sovrapproduzione che ha nello sfruttamento indiscriminato delle risorse la conseguenza più tragica, e le ultime catastrofi ambientali lo dimostrano. Non più di un anno fa, criticatissimo fu il discorso fatto dal Principe Carlo d’Inghilterra, ambientalista da sempre, quando invitò i suoi sudditi a fare acquisti oculati per il Natale, evitando di comprare l’inutile e il superfluo. Ci basta entrare in un negozio cinese per comprendere appieno il senso di quelle parole, il 90% di quei prodotti è inutilizzabile perché non funzionante o dalla durata effimera, ma ci si rende conto che dietro ogni oggetto di quello c’è lo sfruttamento di risorse ambientali, il cantiere per la produzione della industria che lo produrrà, la fabbricazione e l’inquinamento prodotto dai mezzi di trasporto che lo porteranno a destinazione, il packaging di oggetti inutili, l’acquisto per il prezzo irrisorio in apparenza ma che si ripercuoterà sui costi di smaltimento dei rifiuti speciali quando poi, presto, lo cestineremo producendo ulteriore inquinamento? In questo contesto, l’esempio portato da personalità di rilevanza mondiale non può che indurre l’uomo comune alle giuste riflessioni sul prossimo futuro, il che rende ancora più lodevole la posizione di grande etica comportamentale che solo i saggi hanno.

Di Dana Dany

Dana Dany stilista e fashion blogger laureata in Storia dell'Arte.